martedì 13 dicembre 2016

La portaerei "Graf Zeppelin" di Adolf Hitler

Varo della Portaerea GrafZeppelin
Il varo della Graf Zeppelin l’8 dicembre 1938
 La Graf Zeppelin venne commissionata su volere di Adolf Hitler il 16 novembre 1935 e la costruzione della chiglia cominciò il 28 dicembre dell'anno successivo. Nel 1937 l'ammiraglio Erich Raeder presentò un progetto, il piano Z, per la costruzione di altre quattro portaerei da costruirsi entro il 1945 ma due anni dopo, il piano venne ridimensionato in due esemplari. L'incarico di costruire la Flugzeugträger A ("portaerei A"), più tardi battezzata Graf Zeppelin, fu assegnato ai cantieri navali Deutsche Werke AG di Kiel e contemporaneamente fu assegnata la commessa per la gemella Flugzeugträger B ("portaerei B") al cantiere Friedrich Krupp Germaniawerft AG, sempre di Kiel. Il varo della prima, e finora unica, portaerei tedesca ebbe luogo l'8 dicembre 1938, con un discorso tenuto dal comandante supremo della Luftwaffe Hermann Göring, nonostante alla nave mancassero ancora gran parte degli allestimenti. La decisione di costruire le navi fu contestata: Hermann Göring, Comandante in capo della Luftwaffe non vedeva di buon occhio le intrusioni nella sua aviazione e non perse occasione per mettere in discredito Raeder. Inoltre, l'ammiraglio Karl Dönitz aprì un "fronte interno" alla marina stessa, spingendo verso una maggiore attenzione all'arma sottomarina. Le manovre di Göring erano tese a ritardare l'entrata in servizio della nave, per mettere il progetto in cattiva luce: la costruzione della nave fu interrotta nell'ottobre 1939. Alla fine del 1942 furono apportate delle modifiche allo scafo, e furono preparate le turbine per farla entrare in servizio. La costruzione fu piagata da carenze di materiali e lavoratori, che portarono all'abbandono della costruzione della nave gemella. Su consiglio di Raeder, Hitler offrì a Göring l'incarico di costruire gli aerei per la nuova nave, sperando di placarne l'avversità: il maresciallo offrì una nuova versione degli Junkers Ju 87B e dei Messerschmitt Bf 109E-3. Raeder fu costretto ad accettare anche la clausola per cui il personale di volo sarebbe dovuto rimanere sotto il controllo delle forze aeree. L'inadeguatezza degli aerei forniti costrinse a riprogettare gli impianti del ponte di volo. Nel 1943 Raeder si dimise dall'incarico, e Dönitz prese il suo posto. Perseguendo la sua strategia incentrata sugli U-Boot, Dönitz il 2 febbraio sospese la costruzione della portaerei, nonostante fosse completa al 95%. Il 21 aprile 1943 la portaerei, ancora non terminata, fu trainata a Stettino. Qui fu affondata con cariche esplosive il 25 aprile 1945 in acque basse, per evitare che cadesse in mani nemiche.
 La sua storia successiva è poco chiara: stando ai patti internazionali la nave avrebbe dovuto essere distrutta o affondata in acque profonde il 15 agosto 1946. I russi invece la ripararono, e la riportarono a galla nel marzo 1946. L'ultima foto nota della nave la vede a Swinemünde (oggi Swinoujscie) il 7 aprile 1947, impegnata nel trasporto di parti di fabbriche polacche smantellate e portate in Russia. Probabilmente servì anche come nave-alloggio per un reparto speciale, impiegato nell'analisi dei documenti di progettazione della stessa Graf Zeppelin e delle altre navi catturate ai tedeschi. Vi furono numerose voci non confermate sul destino finale della nave: nascosta a Leningrado, affondata per un guasto tra Swinemünde e Leningrado, affondata dopo un urto con una mina a Rügen il 15 agosto 1947 (ma la rotta per Leningrado non passava da Rügen, per cui sembrava più probabile che fosse affondata nel Golfo di Finlandia, una zona pesantemente minata). Con l'apertura degli archivi sovietici, si è saputo che venne trainata a Leningrado, dove giunse sana e salva, e venne riclassificata come "PO-101" (Base Galleggiante 101). Venne tentata una riparazione, ma risultò impossibile e il relitto venne trainato in mare aperto presso Swinemünde e usato come bersaglio per una esercitazione di tiro combinata di marina e aviazione, il 16 agosto 1947. I sovietici caricarono esplosivi sulla nave, per simularne il carico di munizioni: in questo modo l'operazione poteva passare per una demolizione, come richiesto dai trattati di fine guerra, ma dava ai sovietici una preziosissima esperienza nell'attacco contro questo tipo di navi, fatto assai importante dato che la strategia marittima degli USA si basava primariamente sulle portaerei e ormai già si profilava lo scenario della Guerra Fredda. Già colpita da 24 bombe, la nave venne affondata coi siluri.
 Il 12 luglio 2006 una nave di prospezione della compagnia petrolifera polacca Petrobaltic ha trovato un relitto lungo 265 metri nei pressi del porto di Łeba, dalla sagoma somigliate alla Graf Zeppelin. Il 26 luglio gli specialisti della marina polacca ORP Arctowski entrarono nel relitto per confermarne l'identità, e il giorno seguente la Marina Militare ha confermato l'identità del relitto.

sabato 22 ottobre 2016

IL "CUTTY SARK" l'ultimo Tea Clipper


Il Cutty Sark  e il Tea Clipper

L’uso del tè ha avuto, in Cina, grande diffusione fin dai tempi più antichi estendendosi dalle rive del Mar Giallo in tutto l’imp...ero con un infuso che intendeva correggere la fangosa e malsana acqua dei fiumi. Se ne sentiva a parlare in Europa già nel 1500 come panacea, ma è nel 1600 che arrivano quantità ragguardevoli da Macao per opera degli Olandesi. Con la fine della guerra dell’oppio del 1842 cominciavano le regolari esportazioni in Occidente, ed erano gli Americani a portare inizialmente il tè in Inghilterra facendosi attivissimi sulla piazza di Londra. La Casa inglese Black Ball Line si dimostrava presto interessata e due ditte specializzate cominciarono ad ordinare velieri veloci ai cantieri di Aberdeen, con pieno successo.
Veniva superata una vecchia legge fiscale (la “tonnage law”) causa di certe arretratezze costruttive e gli Americani perdevano presto la prevalenza. I loro velieri, infatti, costruiti con legname meno resistente dei velieri inglesi non potevano sopportare eccessive forzature veliche imposte dalle traversate veloci. Dal 1853 al 1870 i cantieri di Aberdeen, Geenock, Glasgow, Guernesey, Liverpool, Londra e Sunderland vararono circa cento clipper i cui nomi sono entrati nella storia della marineria inglese.
Il “Cutty Sark” è il celebre veliero veloce (dal curioso nome che significa “corta camicciola” tratto dai versi di un poeta scozzese) sinonimo del clipper, attualmente conservato a secco nel bacino di Greenwich, realizzato dalla Cutty Sark Preservation Society nel 1959 dopo un accurato ripristino, conosciuto generalmente anche grazie alla reclamizzazione di molti prodotti industriali moderni.
Costruito con la massima cura su progetto dell’architetto Hercules Linton e varato nella Clyde nel 1869 per conto del facoltoso armatore scozzese John Willis (conservatore ad oltranza in fatto di marineria velica, detto Withe Hat per il cappello bianco che usava portare), il quale lo tenne fino al 1895 quando lo vendeva ad armatori portoghesi, che lo impiegavano fino al 1922 col nome di “Ferreira”. Tornava sotto bandiera inglese per venire ripristinato come cimelio di un tipo straordinario di veliero, degno di ogni considerazione, impiegato in traffici specializzati, testimone autorevole di tutta un’epoca. con periodo di maggior splendore che è andato dal 1845 al 1875.
Un veliero non grande, stazzante meno di 1000 tonn., lungo poco più di 85 metri fuori tutto, ma con scafo stellato perfetto nel suo genere, seppur difficile da comandare e da condurre, fatto per gente scelta, come del resto ogni clipper che richiedeva giorno e notte, senza posa, continue manovre nell’orientamento delle vele per non perdere un solo nodo (velocità). Particolari doti erano richieste anche al capitano, che doveva curare con forza di carattere non solo la condotta e l’assetto della nave ma anche gli interessi commerciali ed economici dell’armatore resi sempre più difficili sicché di buoni capitani di clipper se ne trovavano assai pochi. Egli doveva, in poche parole, saper fare di tutto conoscendo ogni furberia di mestiere non solo in campo nautico.
Il vecchio Willis aveva voluto dal costruttore quanto di meglio poteva essere impiegato per imporre la sua bandiera d’armamento sul mare della Cina. Nella Londra vittoriana s’era venuto a determinare un fatto di costume con il consumo del tè.
L’annuale arrivo del primo carico del tè cinese di nuovo raccolto primaverile, considerato il migliore (una pianta dava tre raccolti), veniva pagato bene con un premio di 10 scellini ogni 50 piedi cubici e 100 sterline al capitano della nave vincente. Si era
arrivati, infatti, ad una vera e propria “regata del tè” con molti concorrenti, in primo luogo il “Cutty Sark” che, ironia della sorte, non riusciva ad imporsi sul diretto concorrente “Thermopylae” malgrado ogni impegno, senza scuotere però la fiducia di Willis. La gara era seguita, a terra e in mare, con interesse e si arrivava al caso dell’“Ariel” e del “Taeping” che nel 1865, partiti da Fuchou il 30 maggio, giungevano a Londra il 5 settembre successivo distanziati di 10 minuti. Ma la concorrenza del vapore stava diventando fatale, i noli scadevano fino alla metà e inutilmente si coltivò la diceria che il tè trasportato (più vantaggiosamente) dai piroscafi sapeva di fumo e di catrame.
Superando il periodo degli alti e bassi (ci fu anche un omicidio e il suicidio di un capitano) il “Cutty Sark” doveva ripiegare sul tè indiano per l’Australia e, peggio che peggio, su carichi impropri per la sua particolare forma di carena come il carbone, riscattandosi però finalmente sotto la guida di un capitano di eccezione, Richard Woodget, con i vantaggiosi carichi della lana australiana via Capo Horn e con traversate assai veloci sul mercato di Londra caratterizzato da aste che si tenevano solo in certi periodi, a costo di perdere magari le vele e perfino qualche albero, come effettivamente avvenuto. Nel 1922 veniva comperato da un capitano proveniente dalla vela che l’aveva riconosciuto, la vedova del quale lo donava poi, nel 1938, al Thames Nautical Training College finché, nel 1952, lo rilevava la sopraccennata Preservation Society. (da cherini.eu)
Nella foto, scattata in un porto inglese, il 1 Gennaio 1951, Cutty Sark  e l'ultimo Tea Clipper.
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Regio Sommergibile GEMMA



Articolo del giorno :
R SMG GEMMA (un tragico fatale errore)
Ammiraglio Attilio Duilio Ranieri
Il Smg. GEMMA era il secondo di una serie di dieci battelli, la s...erie “PERLA”, a sua volta appartenente alla più ampia classe “600” di sommergibili costieri. Questa serie, ben riuscita come tutta la classe “600”, era stata realizzata negli anni ‘35 e ’36 dai Cantieri CRDA di Monfalcone (GO) (6 unità) e dai Cantieri OTO di Muggiano (SP) (4 unità).
Il GEMMA apparteneva a quelli di Monfalcone ed era stato impostato il 7 settembre 1935, varato il 21 maggio 1936 e consegnato alla Marina l’8 luglio dello stesso anno.
Attività Operativa
All’entrata in servizio (8.7.36) il Smg. GEMMA è assegnato alla 35ª Squadriglia Sommergibili, di base a Messina. Da qui effettua una lunga crociera nel Dodecaneso, crociera che ripete anche nel 1937. Al comando del T.V. Carlo FERRACUTI, partecipa alla guerra di Spagna con una missione di nove giorni, dal 27 agosto al 5 settembre 1937, in agguato nel Canale di Sicilia.
Nel 1938 viene dislocato in Mar Rosso, a Massaua. Da questa base, insieme al Smg. PERLA, nella primavera del ’39 svolge lunghe crociere nell’Oceano Indiano, per sperimentare nel periodo dei monsoni la tenuta al mare e la capacità operativa dei battelli. Dai rapporti di missione, oltre alle difficoltà marinaresche incontrate (mare forza 9, impossibilità a far uso delle armi, difficoltà a tenere la quota periscopica), emerge anche la pericolosità degli impianti di condizionamento, il cui gas frigorigeno (cloruro di metile), si rivelerà tossico e creerà grossi problemi ai battelli che ne sono dotati.
Rientrato in Italia, alla fine del ’39 risulta assegnato alla XIV Squadriglia del 1°
GRUPSOM di base alla Spezia. Ma all’entrata dell’Italia nella 2ª G.M. (10.6.40) il GEMMA, sempre inquadrato nel 1° GRUPSOM (però nella 13ª Squadriglia), al comando del C.C. Guido CORDERO di MONTEZEMOLO, è dislocato a Lero, la nostra base navale in Egeo.
Le sue prime missioni, peraltro senza esito, sono:
Dal 10 al 15 giugno ’40 nelle acque dell’isola di Chio, in Egeo;
Dal 30 giugno all’8 luglio al largo di Sollum, sulle coste egiziane;
Dal 7 al 16 agosto, a nord dell’isola di Creta.
Il 30 settembre parte per la sua quarta missione, con il compito di pattugliare, dal 1° all'8 ottobre, insieme ai Smgg. AMETISTA e TRICHECO, il canale di Caso (a levante dell'isola di Creta).
La zona del canale è stata suddivisa in tre aree - nord, centro e sud - rispettivamente assegnate al GEMMA, all'AMETISTA e al TRICHECO. Dopo un paio di giorni di agguato infruttuoso, il giorno 3, al solo GEMMA viene ordinato di spostarsi più a levante, a pattugliare il canale fra le isole di Rodi e Scarpanto (precisamente, nel quadrilatero delimitato dalle congiungenti: isola Saria-capo Monolito (Rodi)-capo Prosso (estremo sud di Rodi)-capo Castello (estremo sud di Scarpanto), fino alla sera del giorno 8. Ed è appunto in quella zona che, nella notte fra il 7 e l'8 ottobre, avviene la tragedia.
Il TRICHECO (comandato dal C.C. Alberto AVOGADRO di CERRIONE) la sera del 7 - ossia, un giorno prima del compimento della missione – a causa di un ferito a bordo aveva lasciato la sua area a sud del canale di Caso e dirigeva per rientrare alla base di Lero, con rotta passante a ridosso della costa orientale di Scarpanto e attraversando, quindi, la seconda zona di agguato del GEMMA.
Per una fatale serie di disguidi nelle comunicazioni radio, né il GEMMA né il TRICHECO sono stati informati dei reciproci movimenti. Fra l'altro, un messaggio cifrato del giorno 6, con il quale il Comando di Lero, tramite SUPERMARINA, ordinava al GEMMA l'immediato rientro alla base, non è mai stato ritrasmesso dall'Ente Centrale.
Quando, alle 01.15 del giorno 8, il TRICHECO avvista la sagoma di un sommergibile, ignorando la presenza di battelli italiani in quella zona - presenza che, ovviamente, dava per scontato gli sarebbe stata segnalata - ritiene debba trattarsi di un sommergibile nemico.
In una tale situazione, con gli strumenti disponibili all'epoca, non c'è tempo per tentare approcci di riconoscimento: sopravvive il sommergibile che attacca per primo.
Così, alle 01.21, il TRICHECO lancia due siluri. La distanza è ravvicinata: impossibile sbagliare! Il GEMMA, colpito a centro nave, affonda immediatamente nel punto di lat. 35°30'N e long. 27°18'E, circa tre miglia per 078° al largo di Kero Panagia, poco distante dalla città di Scarpanto. Nessun superstite. Sarebbe potuto accadere l'opposto, se il GEMMA avesse avvistato per primo l'altro sommergibile. Sono incidenti avvenuti, purtroppo, in tutte le guerre e in molte Marine.
Peraltro, nella nostra Marina il pericolo di siffatti accidenti era piuttosto ridotto. Infatti, la dottrina d'impiego dei nostri sommergibili, almeno nel primo anno di belligeranza, si basava sul concetto della "guerra di posizione": ad ogni battello veniva assegnato un "quadratino" di mare, dal quale non doveva assolutamente sconfinare, restando in attesa del passaggio di navi nemiche. Questa tattica, ereditata dall'esperienza della 1ª G.M., si dimostrerà infruttifera.
I Tedeschi, invece, fin dall'inizio adottarono un metodo che potremmo definire "guerra di corsa": la zona assegnata a ciascun battello era relativamente ampia e ad esso veniva richiesto di andare "a caccia" di navi. Quando avveniva un avvistamento, tutti i battelli a distanza utile venivano concentrati sul bersaglio (spesso costituito da un convoglio), a formare il "branco di lupi". Operando in tal guisa, il rischio di incidenti era elevato, ma i Tedeschi lo mettevano in conto.
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giovedì 20 ottobre 2016

Regia Sommergibile "Ettore Fieramosca"

Articolo del giorno:
R SMG FIERAMOSCA
Questo sommergibile costituisce una sorta di esperimento, peraltro non ben riuscito e pertanto non più riprodotto. Esso si inserisce fra quei battelli che, dopo la 1ª G.M., tutte le Marine di un certo rango cercarono di realizzare per dare al mezzo subacqueo delle prestazioni (in termini di autonomia, velocità, armamento, ecc.) compatibili con quelle delle navi di superficie.
In altre parole, poiché il sommergibile, pur essendosi definitivamente affermato come strumento bellico, era uscito da quella guerra mostrando tutti i suoi limiti quale sottomarino, si pensava di potenziarne l’aspetto di superficie. Insomma, se per il momento si doveva rinunciare al “sottomarino” ideale, allora si cercava di fare il “sommergibile di squadra”, da impiegare insieme alle navi. Per fare un esempio, si pensi al SURCOUF francese.
Ma, come già detto, i risultati non furono positivi; l’idea fu presto abbandonata da tutte le Marine e l’evoluzione del mezzo subacqueo si attestò (per lo meno fino all’avvento del motore unico per superficie ed immersione: il nucleare) sulla concezione di sommergibile, ossia di una “nave” capace di immergersi, ancorché per periodi limitati, ma comunque diversa dalla nave di superficie vera e propria.

Per la verità, la Marina italiana fin dall’inizio dell’impresa si mostrò piuttosto scettica su una tale idea, tant’è vero che il progetto fu travagliato da tante modifiche e ripensamenti. Anche la possibilità di portare un piccolo idrovolante (peraltro, mai ben individuato) alla fine venne eliminata: il battello fu costruito con l’hangar a poppavia della torretta, ma questo fu smantellato prima della consegna alla Marina.
Il Smg. FIERAMOSCA, realizzato presso i Cantieri Tosi di Taranto, fu impostato il 17 luglio 1926, varato il 14 aprile 1929 e consegnato alla Marina il 5 dicembre 1931.
Attività Operativa
L’attività operativa svolta dal FIERAMOSCA, costellata da numerose avarie ed incidenti, talvolta col ferimento di persone, è piuttosto modesta. Dopo un lungo periodo di prove e collaudi a Taranto, nel 1932 il battello viene assegnato alla 1ª Squadriglia della 1ª Flottiglia di base alla Spezia. Fino al 1935 la sua attività è relativamente ridotta. Poi il battello torna a Taranto per un periodo di lavori presso il cantiere d’origine; al termine viene assegnato alla 2ª Squadriglia, ancora alla Spezia. Ma quando, nel ‘36/’37, partecipa con due missioni alla guerra di Spagna, esso risulta assegnato al 2° Gruppo Sommergibili di sede a Napoli.

La prima missione, al comando del Cap. Corv. Mario BARTALESI, si svolge in agguato nelle acque di Valencia, dal 21 dicembre ’36 al 5 gennaio ’37,
con partenza da Livorno e rientro alla Spezia. Incontra una dozzina di navi in transito, ma soltanto in un caso, il giorno 27, riesce ad effettuare un attacco, di notte in superficie, contro l’incrociatore MENDEZ NUÑEZ con il lancio di tre siluri che però non colpiscono.
La seconda missione, da svolgere sempre nelle acque di Valencia con partenza dalla Spezia il 28 gennaio ’37, viene interrotta dopo poche ore a causa di un’avaria che costringe il battello a rientrare. Riparata l’avaria, il FIERAMOSCA lascia nuovamente La Spezia il 2 febbraio per portarsi questa volta nelle acque di Barcellona. Nonostante i numerosi avvistamenti, non riesce a portare a termine alcun attacco a navi. Effettua, invece, due cannoneggiamenti notturni contro il porto di Barcellona: il primo, la sera dell’8 febbraio, con 10 granate da 120 mm prima che l’arma si inceppi; il secondo, la sera successiva, sparando in un quarto d’ora 35 granate, una delle quali danneggia non gravemente la petroliera spagnola ZORROSA. Rientra alla Spezia il 16 febbraio. Successivamente, compie una crociera a Tunisi e, nel ’39, una a Barcellona.

Nel 1939 il FIERAMOSCA risulta dislocato nuovamente alla Spezia, assegnato al 1° Gruppo Sommergibili ed inquadrato, insieme ai Smgg. CALVI, FINZI e TAZZOLI, nella 12ª Squadriglia. Squadriglia che, all’entrata dell’Italia nella 2ª G.M. (10 giugno ’40), per effetto della ridistribuzione dei battelli attuata dal Comando Squadra Sommergibili (MARICOSOM) fra i
diversi teatri operativi, risulterà essere la 11ª.
All’inizio delle ostilità, al comando del Cap. Corv. Giuseppe MELLINA, il FIERAMOSCA è in agguato lungo le coste francesi. Non trovando traffico, il giorno 14 giugno rientra a Genova. Il giorno 19 è di nuovo in agguato sotto l’isola di Hyères (Tolone); ma pochi giorni dopo, una violenta esplosione nella batteria di accumulatori provoca ingenti danni e il ferimento di alcune persone, costringendo il battello a rientrare alla Spezia, dove giunge il giorno 25.
Con questo evento, che evidenzia la scarsa affidabilità del battello, il FIERAMOSCA esce di fatto dalla guerra. Sottoposto a lavori di riparazione (nel corso dei quali il Com.te MELLINA lascia il comando al Cap. Corv. Beppino MANCA che, a sua volta, in ottobre lo passerà al Cap. Corv. Cristiano MASI), dal 15 ottobre 1940 viene assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola, appena istituita, dove fino al marzo del ’41 svolgerà 28 uscite per addestramento degli allievi.
Il 10 aprile ‘41 viene posto in disarmo. La radiazione e la demolizione avverranno nel 1946.

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Enrico Manfredi Luserne d'Angrogne

martedì 18 ottobre 2016

Regio SMG " Angelo Emo "di C.D'Adamo



...
Il Regio sommergibile ‘Angelo EMO’ era uno degli undici battelli della classe Marconi. Il sommergibile fu impostato nei cantieri della C.R.D.A. di Monfalcone il 2 febbraio, 1937, varato il 29 giugno 1938 e consegnato alla Marina il 10 ottobre dello stesso anno. Dopo un breve periodo di addestramento e prove a mare, il battello fu assegnato al 22° squadrone del 2°Gruppo Sommergibili di base a Napoli così come il Barbarigo, Morosini, Marconi e Da Vinci. All’EMO, che andrà perduto nel 1942, saranno accreditati due affondamenti per un totale di 10.958 t. Completò venti missioni, incluse sei di guerra e una di trasporto per l’Africa Settentrionale e varie missioni di addestramento e trasferimento. Mentre era assegnato alla Scuola Sommergibilisti di Pola, il battello completò ben ventiquattro uscite d’addestramento.
Nel Luglio del 1940, poche settimane dopo la dichiarazione di guerra, il Comando Sommergibili organizzò una linea continua d’avvistamento a levante dello Stretto di Gibilterra. La zona in questione fu pattugliata da un totale di undici sommergibili divisi in tre gruppi. L’EMO, con il Marcello, Barbarico e Dandolo fu assegnato al primo gruppo. La missione cominciò il 1°di luglio e durò circa due settimane. L’EMO e il 
Marconi furono assegnati al settore più a ponente (B); l’EMO pattugliò la zona a meridione del meridiano di Alboran (tra il Marocco e la costa spagnola) mentre il Marconi fu assegna a quella settentrionale e più vicino alla costa iberica.
Il 6 luglio, alle 14.50, dal battello in immersione si avvistò una grande forza navale a circa 12.000 metri che includeva una portaerei, due navi da battaglia e varie cacciatorpediniere che procedevano verso ponente. Portatosi in posizione d’attacco, il comandante dovette desistere a causa del repentino cambiamento di direzione di quella che si presuma fosse una formazione britannica. Completata la missione, L’EMO rientrò a Napoli.
Alla fine della missione, il battello ricevette ordini di trasferimento a quella che sarebbe diventata BETASOM, la base sommergibili italiani di Bordeaux, in Francia. Lasciata Napoli il 27 agosto 1940, portò a termine una perlustrazione in Atlantico. Qui, il 9 settembre in posizione 41º 27N, 21º 50W, l‘EMO avvistò il piroscafo britannico Saint Agnes (5.199 t.), una nave distaccatasi dal convoglio SLS.46 che era partito da Freetown sotto scorta dell’incrociatore armato Dunnottar Caste. Tutti i sessantaquattro membri dell’equipaggio britannico furono salvati. Il Saint Agnes, costruito nel 1918 e in precedenza conosciuto come il War Briton (1919), Titan (1925) e Cape St. Agnes (1937) apparteneva alla Saint Line LTD e fu prima silurato e poi finito con il cannone. Completata la missione, l’EMO raggiunse Bordeaux il 3 ottobre 1940.
Dopo una breve sosta l’EMO fu nuovamente a mare con partenza il 31 ottobre. Pochi giorni dopo, il 2 e 3 novembre, in condizioni metereologiche pessime, la vedetta sottocapo Giuseppe De Giobbi fu trascinata a mare ed il comandante, T.V. Carlo Liannazza seriamente ferito. Nonostante le lunghe ricerche, il sottocapo non fu mai trovato. Impossibilitato a continuare la missione, l’EMO fece ritorno alla base raggiungendola il 6. Poco dopo, il T.V. Carlo Liannazza fu trasferito sul Cagni ed il T.V. Giuseppe Roselli Lorenzini (che eventualmente diventerà Capo di Stato Maggiore della Marina dal 1970 al 1973) assunse il comando.
Il 5 dicembre, l’EMO partì per un’altra missione raggiungendo le coste occidentali della Scozia il 14 dello stesso mese e rimando in zona fino al 26. Il quel settore, l’equipaggio avvistò e successivamente attaccò una petroliera di circa 3-4.000 t. mancando il bersaglio a causa delle pessime condizioni metereologi che. Il ventisei l’equipaggio avvistò un cacciatorpediniere che non potette essere attaccato. Completata la missione, l’EMO raggiunse Bordeaux il 1° gennaio 1941 dove rimase per un lungo periodo di lavori.
Il 3 marzo l’EMO fu nuovamente in missione, questa volta ad occidente dell’Irlanda. Il battello era parte del gruppo “Velella” che includeva il Velella, Argo, Mocenigo e Veniero. Le unità furono assegnate in una zona che si estendeva dal 59°30’N e il 53°N e tra il 13°W ed il 25°W. Ancora una volta, agli U-boot tedeschi fu assegnata una zona più vicina all’Irlanda e la Scozia mentre ai sommergibili italiani, più grandi di stazza, fu assegnata una zona di pattugliamento più lontana. Il 9 marzo, mentre in rotta per intercettare un convoglio in precedenza avvistato da aerei tedeschi, l’EMO fu attaccato da un apparecchio britannico che lanciò due bombe mentre il battello era a circa 20 metri di profondità. Con i timoni di profondità bloccati, il battello prima venne in superficie e poi sprofondò fino a 110 metri. Più tardi, l’EMO comincio a seguire il
convoglio anche se dovette interrompere a causa della presenza di caccia nemica. Il quattordici, nel primo pomeriggio, costanza fu premiata quando l’EMO attaccò il piroscafo britannico (in verità americano e gestito dal Ministero della Guerra Trasporti) Wester Chief (5.759 t.) affondandolo alle 13.07 (il resoconto italiano indica la tarda notte). La nave, che trasportava 7.000 t. di acciaio, era rimasta isola dal convoglio SC 24 che aveva lasciato Halifax (Canada) il 28 febbraio e che doveva arrivare a Liverpool il 19 marzo. Dei 43 uomini dell’equipaggio, 22 perirono.
Il diciotto, l'EMO avvistò la Clan Maciver di 4.500 t. che tentò di speronare il battello e poi colpirlo con il cannone, ma il sommergibile evitò il pericolo cercando rifugio negli abissi, malgrado le due unità fossero a poca distanza uno dall’altro. Il diciannove, completata la missione, l’EMO era nuovamente a Bordeaux per l’usuale periodo di lavori.
Il 5 maggio, il sommergibile lasciò la base per una nuova missione. Dopo il cambio generale di zona d’operazioni dall’atlantico settentrionale a quello centrale, l’EMO fu assegnato ad una zona di perlustrazione ad occidente di Gibilterra dal 22 dello stesso mese al 6 giugno. Allo stesso tempo, altri sommergibili italiani erano stazionati in zona, inclusi il Da Vinci, Baracca, Malaspina, Cappellini, Torelli, Bianchi, Bagnolini e il Barbarigo. Lqa mattina del 7, l’EMO attaccò due navi lanciando due siluri ad una distanza di circa 1500 metri credendo di aver centrato il bersagli, ma non ci sono conferme di questi affondamenti. Le due navi furono stimate a 1900 t la prima e 3000 t la seconda. Dopo l’attacco, il battello fu fatto oggetto di caccia da parte dell;’unità di scorta e che durò varie ore, ma eventualmente rientro alla base il 20 giugno.

L' avventurosa entrata in guerra dell’Italia a fianco dei tedeschi cominciò ad avere i suoi effetti catastrofici e, agli inizi del 1941, la situazione nel Mediterraneo era quasi disperata. Il Comando Supremo, a seguito dell'intervento personale di Benito Mussolini informò i tedeschi che la base in Bordeaux sarebbe chiusa e tutti battelli sarebbero ritornati in Italia. Discussioni ebbero luogo a livelli molto alti ed eventualmente Dönitz fu in grado di convincere gli italiani a mantenere la loro presenza facendo ritornare in Mediterraneo un numero di sommergibili più piccolo. Uno dei battelli selezionati per il ritorno in patria fu l’EMO.
L’EMO lasciò La Pallice il 20 agosto subito dopo il Brin. Completata una perlustrazione a largo di Gibilterra, raggiunse Napoli il 1 settembre avendo attraversato lo Sterro di Gibilterra prima in superficie e poi in immersione. Dalla base Partenopea il battello fu trasferito alla Scuola Sommergibilisti di Pola dove l’EMO completò 24 uscite di addestramento fino alla fine dell’anno. Tra l’8 e il 9 novembre, il battello fu richiamato in servizio con il Mameli per attività antisommergibile in supporto di un importante trasferimento di naviglio da Trieste a Venezia.
In seguito, il battello fu trasferito nuovamente a Taranto in cui arrivò il 16 dicembre
1941. Da Taranto, l’EMO cominciò una nuova vita operativa come sommergibile da trasporto per il trasporto di materiale di guerra agli eserciti che stavano lottano in Africa Settentrionale. Il 20 dicembre, l’EMO trasportò 20 t. di combustibile per l’aeronautica, 32 t. di derrate alimentari e 15 t. di munizioni a Bardia dove arrivò il 25. Rimandato a Suda per un nuovo carico, al ritorno Africa non potrebbe entrare nel piccolo porto a causa del fuoco di artiglieria nemico che, nel frattempo, avevano sopraffatto la fortezza italiana. Sia il capitano sia il timoniere Campisi rimasero feriti a causa dell'azione. Dopo che la missione fu abortita, l’EMO fu rinviato a Suda e da là a Taranto da cui fu riassegnato a Cagliari.
Dalla base sarda, completò parecchi pattugliamenti. Dal 17 aprile al 3 maggio al largo di Capo Caxine. Dal 13 maggio al 18 giugno al largo del litorale algerino e dal 23 giugno al 16 luglio a sud di Ibiza. Nessun delle missioni ebbero risultati positivi. Alla fine dell’ultima missione, Il comandante Roselli Lorenzini fu trasferito sul R. Smg. Cagni, mentre il T.V. Giuseppe Franco assunse il comando. Dall'11 agosto al 17, all’EMO fu assegnata una zona di perlustrazione a largo di Galite. Durante questa missione, il 12, il battello attaccò una nave da guerra con 4 siluri rilevando esplosioni (dopo 1min 47sec, 2min 20 sec e 2min e 30sec). Subito dopo, fu fatto oggetto di un’una intensa caccia. Non ci sono riscontri di questo successo in quella zona ed in quella data, ma è stato accertato di che l'unità attaccata era stato il cacciatorpediniere britannico H.M.S. Tartar.
Dal 18 al 29 ottobre, l’EMO fu nuovamente in missione a largo del litorale algerino. Con lo sbarco alleato in Africa settentrionale in piena esecuzione, l’EMO fu gettato nella mischia. Il 7 novembre l’EMO lasciò Cagliari per la sua ultima missione. L’undici, intorno alle 13:00, a largo di Algeri, fu attaccato e colpito dal H.M.S. Lord Nuffield (FY 221), una unità anti sommergibile, in posizione 36̊̊̊ 50 - N, 02̊ 50 E. Il comandante portò il battello in superficie e cominciò il combattimento al cannone. Con entrambi i motori diesel fuori servizio, fu dato l’ordine di affondare. Quattordici membri dell’equipaggio perirono nell'azione, tra loro il guardiamarina Mario Giacchelli, mentre gli altri furono salvati e fati prigionieri dal nemico.
L’EMO, costruito per la `guerre de course' negli oceani operò bene in quelle circostanze, ma era inadatto alle missioni da trasporto o ai pattugliamenti nelle poco profonde acque del Mediterraneo in cui gli obiettivi erano pochi e i pericoli molti
articolo del giorno:

R SMG EMO
di C. D'ADAMO
Enrico Manfredi Luserne d'Angrogne 
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mercoledì 28 settembre 2016

Il regia sommergibile "Archimede" 1940


R.SMG ARCHIMEDE

Articolo del giorno (29 settembre 2016):
di Cristiano D'Adamo
R. SMG ARCHIMEDE
1940
All’inizio del conflitto, il sommergibile Archimede era dislocato presso la base navale di Massaua nell’AOI(1) (Africa Orientale Italiana). Per la prima missione di guerra il battello, al comando del T.V. Signorini, fu dislocato a largo delle coste di Djibouti, una colonia francese. Il sommergibile partì da Massaua il 19 giugno 1940 per condurre operazioni coordinate con il smg. Perla.
Ancor prima dell’inizio delle ostilità, il battello aveva avuto problemi con il sistema di condizionamento dell’aria, e la partenza per l’imprevista missione impedì il completamento dei lavori di riparazione. Durante la missione, ed a meno di un giorno dalla partenza, alcuni dei membri dell’equipaggio cominciarono ad avere malori; questi furono simili a quelli che afflissero gli
equipaggi del Macallè e del Perla. Non si sa se l’equipaggio prese dei provvedimenti per sanare la situazione; forse cominciarono ad usare sempre meno l’aria condizionata, ma il quarto giorno l’apparato dovette essere spento. Molti uomini, tra cui due ufficiali, ebbero colpi di calore, mentre un numero sempre più crescente cominciò ad avere sintomi di avvelenamento. Depressione e svenimenti furono seguiti dalla perdita dell’appetito, comportamento maniacale, euforia, allucinazioni, e alla fine da una frenesia distruttiva ed omicida.
Nel tardo pomeriggio del 23, il Comandante prese in seria considerazione la possibilità di annullare la missione, ma il Comando Navale trasferì il battello a circa 50 miglia a meridione dalla posizione originale. Durante questa notte fatale, quattro marinai persero la vita and il comandante fu costretto a cercare rifugio nel porto di Assab dove il battello approdò alle 8.30 del 26 giugno. Subito dopo, Massaua inviò i materiali necessari, il nuovo Comandante ed il direttore macchine. L’Archimede lasciò Assab il 3 luglio al comando del C.C. Piomarta per ritornare a Massaua dove, finalmente, il cloruro di metile fu sostituito con meno nocivo freon. Il 31 dello stesso mese, il battello fu nuovamente pronto a prendere il mare.
Durante questo periodo, Roma intercettò alcuni messaggi britannici che indicavano l’imminente partenza in un convoglio di circa 20 navi diretto da Bombey al Mar Rosso. L’Ammiraglio Balsano, il comandante delle forze navali a Massaua, predispose tutte le unità in mare, ma l’Archimede non era ancora pronto. La missione fu così assegnata al Ferraris e al Guglielmotti. L’opportunità per l’Archimede di operare arrivò in settembre quando il battello, con il Guglielmotti ed alcuni cacciatorpediniere, fu assegnato ad una missione di guerra. Durante questa azione, l’Archimede fu inviato in una zona tra Gabel Tair ed 19° parallelo nord.
1941
R.SMG .Archimede al varo

 Come era prevedibile, l’AOI stava crollando molto velocemente sotto l’impeto delle forze britanniche provenienti a meridione dal Kenya e a settentrione dal Sudan. Senza la possibilità di ricevere rinforzi dalla madrepatria, le forze italiane erano destinate alla resa. Con la caduta della base navale oramai imminente, il Comando Navale cominciò a preparare vari piani d’emergenza. Uno prevedeva che l’Archimede raggiungesse Kobe, in Giappone, conducendo attività contro il traffico nemico durante il trasferimento. Però, solo navi di superficie furono mandate in Giappone, mentre i sommergibili ancora disponibili furono mandati alla base atlantica di Bordeaux completando il periplo del continente africano. Il Perla, un sommergibile costiero, partì il 1 marzo, il Ferrarsi e l’Archimede il 3 e il Guglielmotti il 4.
Malgrado la perdita di quattro battelli, il morale dei sommergibilisti italiani in AOI rimase buono, ma le condizioni fisiche stavano deteriorando rapidamente a causa del caldo afoso e dell’umidità. I sommergibili destinati a Bordeaux si avventurarono a sud attraverso il Golfo di Perim, uno stretto pattugliato da unità di superficie ed aerei britannici. L’Archimede (C.C. Salvatori), il Ferrarsi (C.C. Piomarta), il Guglielmotti (C.F. Spadone) e il piccolo Perla (T.V. Napp) intrapresero rotte differenti. I battelli più grandi navigarono tra il Mozambico ed il Madacascar mentre il Perla prese una rotta a levante della grande isola africana. L’Archimede, così come gli altri battelli, fu rifornito di nafta dalla petroliera tedesca Northmark e continuò il viaggio senza incidenti di rilievo. Il trasferimento richiese 12.700 miglia di navigazione di cui solo 65 in immersione per un totale di 65 giorni. La missione fu completata nel segreto più assoluto, ma una volta a Bordeaux i giornali italiani diedero grande riscontro agli avvenimenti.
Dopo alcuni mesi d lavori per le necessarie riparazioni, l’Archimede fu nuovamente pronto a muoversi. Ancora la comando del C.C. Marino Salvatori, il battello fu mandato con il Cappellini a pattugliare le coste iberiche, mentre altri battelli si occuparono di una zona relativamente grande che si estendeva dallo Stretto di Gibilterra alle isole Azzorre. Questa missione vide il battello portarsi in prossimità di Capo San Vincenzo, ma a causa della mancanza di naviglio mercantile nemico, la missione non produsse alcun risultato, ma costò la perdita del Baracca e del Malaspina.
Dopo questa missione, l’Archimede fu assegnato in Mediterraneo. Ancora al comando del C.C. Salvatori, il battello lasciò Bordeaux per raggiungere lo Stretto di Gibilterra ove, il 23 ottobre 1941, gli fu ordinato di inseguire un convoglio. In seguito, il trasferimento fu annullato ed il battello rimase con Betasom per il resto della sua vita operativa. Durante questa missione l’Archimede ed il Marconi cercarono un convoglio precedentemente segnalato dal Comando Navale. Il Marconi prese contatto il 26 ottobre; due giorni dopo mandò l’ultimo messaggio e poi se ne persero le tracce. Dopo 48 ore anche l’Archimede interruppe le ricerche per rientrare alla base. Altra perdita di questa missione fu il Ferrarsi; fu affondato dopo un impari duello al cannone con il cacciatorpediniere britannico H.M.S. Lamerton.
1942
R.SMG Archimede in emersione

 Dopo un lungo periodo in cantiere, l’Archimede fu assegnato al comando del T.V. Gianfranco Gazzana Priaroggia, il comandante di sommergibili con il più alto risultato in termini di tonnellaggio affondato e secondo solamente al
Comandante Fecia di Cossato per numero di unità affondate. La nuova missione portò il battello al largo del Brasile. La partenza avvenne tra la fine di aprile e l’inizio di maggio ed il battello raggiunse la zona d’operazioni il 23 maggio del 1942, tre giorni dopo il Cagnolini, lo stesso giorno del Cappellini e quasi una settimana dopo il Barbarigo. Quest’ultimo sarà coinvolto nel misterioso affondamento di una corazzata americana. Il 13 maggio, durante il trasferimento, l’Archimede ricevette un messaggio dal Cagnolini mentre era a nord di Cereà (Brasile), ma il piroscafo segnalato non potè essere individuato. Appena raggiunta la zona assegnatali, l’Archimede intercettò in posizione 2°10’S, 35°55’W un piroscafo in fiamme scortato da unità di superficie identificati quali cacciatorpediniere della classe “Maury” or “Somers”. In realtà, si trattava del cacciatorpediniere Moffett della classe “Porter”. Il Comandante Gazzana Priaroggia lanciò due siluri e percepì due esplosioni, ma pare che le armi non abbiano mai raggiunto il bersaglio. Poco dopo, l’Archimede fu oggetto di caccia prolungata. Il comandante scrisse:
In conseguenza dei vari attacchi, l’Archimede cominciò a sviluppare perdite di carburante dallo scafo che ne avrebbero facilitato la scoperta. Betasom mosse il battello più a nord. Un messaggio d’avvistamento ricevuto nel frattempo non si concretizzò in una caccia. Il battello esaurì il carburante di riserva e cominciò la navigazione di ritorno.
Il 15 giugno intercettò ed attaccò il piroscafo americano “Colombia” di 4.954 t.s.l., ma i siluri mancarono il bersaglio. Lo stesso giorno, l’Archimede attaccò un altro piroscafo, il panamense Cardina di 5.586 t.s.l.; questa volta riuscendo ad affondarlo. Il Cardina era al servizio della Marina mercantile statunitense e non ci furono vittime. Continuando la navigazione, il 27 giugno in prossimità delle Azzorre l’Archimede intercettò un convoglio di considerevoli dimensioni che non fu attaccato a causa della difficile condizione dovuta a rotta e velocità de convoglio stesso. Il battello fece ritorno a Bordeaux il 4 luglio dopo la lunga, ma in parte fruttuosa missione.
 La missione successiva ebbe luogo in ottobre. L’Archimede, passato al comando del T.V. Guido Saccardo, ricevette l’incarico di rifornire il Cappellini a largo delle coste africane. Il battello parti il 15 settembre in compagnia del Bagnolini. Il piano d’azione prevedeva che i battelli raggiungessero la zona di Freetown, ma B.d.U. aveva alcuni U-Boot in zona, e quindi chiese a Betasom di ritardare l’arrivo dei battelli italiani. A causa del grande ritardo accumulato, l’idea di avere l’Archimede solo per rifornire il Bagnolini fu abbandonata ed al battello fu data libertà d’azione. L’8 ottobre il sommergibile raggiunse una nuova zona e lo stesso giorno intercettò l’Oronsay’, un transatlantico britannico di 20.043 t.s.l. La nave apparteneva alla “’Orient Steam Navigation Co, Ltd” di Londra ed era stata costruita nel 1925 dai cantieri “John Brown & Co.” di Clydebank. La nave aveva una capienza di 592 passeggeri ed era usata per il trasporto delle truppe. A causa dell’affondamento ci furono 5 vittime, 26 furono fatti prigionieri ed i rimanenti 412 furono portati in salvo. La posizione dell’affondamento è data a 4º 08’ N, 20º 57’ W dall’Ufficio Storico e a 4º 29’ N, 20º 52’ W dalle autorità britanniche.
Poche ore dopo l’Archimede attaccò la nave passeggeri greca T.S.S. Nea Hellas di 16.991 t.s.l. Precedentemente conosciuta come ‘Tuscania’, la nave apparteneva alla compagnia ‘Anchor Line’ di Londra. Questa nave, affettuosamente chiamata dalle truppe alleate ‘Nelly Wallace’, era alquanto famosa e servì gli alleati per tutta la durata del conflitto
Nel 1947 fu poi riconsegnata alla Grecia. Non si sa se il Nea Hellas (Nuova Grecia) fu colpita da uno dei siluri, sembrerebbe di si; comunque la nave riuscì ad allontanarsi evitando l’affondamento. Dopo aver continuato la perlustrazione fino al 19, l’Archimede si spostò a meridione di Capo Verde, zona questa che occupò fino alla fine del mese. Non avendo intercettato alcun naviglio nemico, il battello rientrò alla base arrivando a Bordeaux il 17 novembre.
1943
La missione successiva, che sarà anche l’ultima, portò il battello nuovamente al largo delle coste brasiliane. L’Archimede, sempre al comando del T.V. Guido Saccardo, lasciò Le Verdon il 26 febbraio del 1943 con istruzioni generali per raggiungere la zona a largo di Pernambuco. Le istruzioni ricevute indicavano di abbandonare la zona d’operazioni quando il carburante era sceso a circa 70 t. di riserva, per poi rifornirsi da un
 sommergibile nazionale o alleato. Con il carburante ricevuto, il battello sarebbe stato in grado di arrivare a Rio de Janeiro, ma tutto fu annullato. Invece di scendere fino al 23° parallelo, l’Archimede rimase a nord del 20°. Il 10 aprile il sommergibile inviò l’ultimo messaggio radio informando la base che aveva solo 61 t. di carburante in riserva e che era in posizione 16º 45’S, 37º 30’ W. A questo punto, l’Archimede ricevette ordini d’incontrare un sommergibile tedesco per ricevere della nafta. Alle due del mattino del 15 un aeroplano intercettò il battello italiano il quale non poteva immergersi a causa di una avaria di natura imprecisata. Il primo aeroplano, di tipo da ricognizione, ne richiamò altre due.
Questi erano Catalina del 93° Patrol Squadron. Il primo apparecchio, un PBY-5° pilotato dall’aspirante T.E. Roberson lancio quattro bombe da una quota di circa 650 metri causando probabilmente dei danni. Il secondo aeroplano, pilotato dal tenente G. Bradford Jr, lanciò altre quattro bombe, ma a bassa quota, centrando il battello che si spezzò in due tronconi per poi affondare in pochi minuti. Ci furono circa 20 sopravvissuti, e gli equipaggi americani lanciarono tre zatterini gonfiabili. Il 27 maggio, dopo un calvario inimmaginabile, alcuni pescatori brasiliani trovarono uno dei tre zatterini con a bordo due cadaveri ed un sopravvissuto in condizioni disperate. Dopo un lungo periodo di convalescenza, il solo sopravvissuto dell’Archimede, Giuseppe Lococo (vedi verbale dell'interrogatorio) fu trasferito in in campo di prigionia statunitense e solo alla fine della guerra le autorità italiane ebbero notizie della tragica perdita del battello e del suo equipaggio.
R.SMG "Archimede"
81a Sq. Guglielmotti, Ferraris, Galvani, Galilei
2a Sq. Perla, Macallè, Archimede, Torricelli.
Edizione italiana a cura di Francesco Cestra

https://www.facebook.com/enrico.manfredi.56?fref=nf
https://www.facebook.com/groups/1054651037961003/?ref=nf_target&fref=nf
 

venerdì 23 settembre 2016

Veliero "Thomas W. Lawson"

veliero"Thomas W. Lawson" 
La Thomas W. Lawson è stata uno schooner a sette alberi con chiglia in acciaio varato nel luglio 1902 nel cantiere navale Fore River Shipyard di Quincy, nel Massachusetts. Il nome deriva dal milionario di Boston Thomas W. Lawson, presidente in quegli anni della Boston Bay State Gas Company.
La Thomas W. Lawson è stata l'unico veliero a sette alberi mai costruito.
Fu costruita pe...r la compagnia Coastwise Transportation Co. (John G. Crowley) di Boston, che la usò per quattro anni per il trasporto di carbone lungo la costa atlantica degli Stati Uniti. Nel 1906 la nave venne ristrutturata nel cantiere Newport News Shipbuilding & Drydock Co. per renderla adatta al trasporto di petrolio.
Per conto della Sun Oil Co. di Filadelfia, fu usata per il trasporto di petrolio dalla costa del Texas alla costa est degli Stati Uniti. La Thomas W. Lawson è stata la prima petroliera con propulsione interamente a vela.
Durante il suo primo viaggio transatlantico da Filadelfia a Londra con un carico di kerosene, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1907 incontrò una violenta tempesta al largo delle isole Scilly, vicino alla Cornovaglia. Il capitano George W. Dow, giudicando che la nave non fosse in grado di superare le isole, decise di fermare la nave gettando le ancore, ma durante la notte le catene si ruppero e il veliero andò alla deriva, naufragando contro alcuni scogli. Dei 18 uomini dell'equipaggio si salvarono solo il capitano George W. Dow e il macchinista E. Rowe.
Il carico di 58.000 barili di kerosene si disperse interamente in mare. È considerato il primo disastro ambientale da versamento di idrocarburi della storia.




mercoledì 21 settembre 2016

Lloyd.Le navi di Trieste nel mondo,nave" Conte Verde"!



Nave Conte Verde
Nave Conte Verde!
Scopriamone la storia!
La sua costruzione avvenne nei cantieri navali William Beardmore & Co di Glasgow. Fu varata il 21 ottobre 1922 con il nome di Conte Verde, in onore di Amedeo VI di Savoia, Conte di Savoia e Conte d'Aosta, Moriana e Nizza.
La nave affrontò il viaggio inaugurale da Genova a Buenos Aires il 21 aprile 1923, per essere... in seguito trasferita sulla linea Genova-Napoli-New York, partendo per il suo primo viaggio sulla nuova rotta il 13 giugno 1923.
In occasione del campionato mondiale di calcio 1930 disputatosi in Uruguay, imbarcò a bordo la nazionale di calcio del Brasile e tre delle quattro nazionali di calcio europee che parteciparono alla competizione, la Coppa Rimet e i tre arbitri europei che avrebbero diretto le gare di quel torneo.
Fra le celebrità che hanno navigato a bordo del Conte Verde ci furono il basso russo Fëdor Ivanovič Šaljapin, la cantante e danzatrice statunitense Josephine Baker, l'etnologo e orientalista Fosco Maraini, la scrittrice Dacia Maraini.
Nel 1932 il Lloyd Sabaudo confluì nella nuova Società Italia di Navigazione e il Conte Verde entrò in servizio per questa società navigando sotto le insegne del Lloyd Triestino che lo destinò alle rotte dell'Estremo Oriente per un collegamento tra Trieste e Shanghai attraverso Suez, Bombay, Colombo, Singapore e Hong Kong. Per il servizio sulla nuova rotta la nave venne sottoposta a lavori di riallestimento con riduzione dei posti, con le cabine di prima classe che potevano ospitare 250 passeggeri, 170 i posti di seconda classe e 220 quelli di terza classe, ampliando così gli spazi.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il Conte Verde si trovava nel porto cinese di Shanghai e lì rimase sotto la "protezione" della Marina giapponese finché, qualche tempo dopo l'8 settembre 1943 successivamente all'armistizio dell'Italia con gli alleati l'equipaggio incendiò la nave per evitarne l'utilizzo da parte dei giapponesi, che però nel luglio 1944 recuperarono lo scafo a scopo di ripararlo. La nave venne colpita e affondata il successivo 8 agosto dalle bombe lanciate da un B-24 americano. I giapponesi recuperarono nuovamente lo scafo rimettendolo in cantiere per le riparazioni dopo averlo riportato a galla, trasformando la nave in una nave trasporto truppe ribattezzandola Kotobuki Maru e trasportandola, nel giugno 1945, a Maizuru nella Prefettura di Kyoto, dove venne nuovamente colpita dai bombardieri americani il 25 luglio.
Lo scafo venne riportato ancora a galla nel 1949 per essere avviato alla demolizione (avvenuta nel 1951).
(fonte: wikipedia.it




venerdì 26 agosto 2016

Il Cantiere navale del Muggiano

Il Cantiere Navale del Muggiano
(di Fond. Ansaldo)...
La nascita del Cantiere alla fine dell’800 La felice conformazione del golfo della Spezia, nonché la sua disposizione geografica nel bacino del Mediterraneo, avevano suscitato dapprima l’interesse di Napoleone Bonaparte e poi del Conte di Cavour, Primo Ministro del Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II. Fu Cavour che , nel 1857, istituì alla Spezia la sede del primo Dipartimento Marittimo del Regno di Sardegna. Sempre Cavour, in quegli anni, affidò a Domenico Chiodo lo studio per la creazione dell’Arsenale della Spezia. Ma le intenzioni del conte di Cavour andavano oltre: egli sapeva che nel golfo di Tolone si era stabilito un grandioso cantiere di costruzioni navali, in grado di lavorare sia per la Marina Francese che per altri Paesi, ed aveva intuito la grande opportunità di far sorgere sulle sponde orientali del golfo della Spezia un grande Stabilimento di costruzioni navali in grado di poter rispondere alle esigenze della Regia Marina d’Italia e di lavorare per le Marine Estere. Aveva avviato trattative con un industriale di New York, Mr. William Webb, per la nascita di questo Stabilimento, quando quest’ultimo fu colto dalla morte e il progetto non si concretizzò. Tuttavia la costa compresa nel tratto di mare tra l’insenatura di S.Teresa e la palude bonificata di Stagnoni possedeva veramente caratteristiche ideali per un cantiere navale; tanto che nel 1883 fu la Società “GEORGE HANFREY & Co.” a far sorgere il Cantiere Navale di Muggiano, sui cui scali furono impostati e successivamente varati due piroscafi da carico e quattro piccoli rimorchiatori aventi lunghezza di 14m e potenza di 75 CV.
Gli sviluppi del Cantiere tra la fine dell’ 800 e i primi anni del 900. Sono gli anni in cui si intrecciarono le storie e gli sviluppi di due cantieri limitrofi, per poi unirsi definitivamente nel 1913. Da un lato vediamo il Cantiere di Muggiano, rilevato nel 1887 dalla “CONTINENTAL LEAD AND IRON COMPANY Ltd” e nel 1897 dalla “HOFER,
palo. Nel 1898, l’entrata nel consiglio di amministrazione della “HOFER, MANAIRA & C.” di alcuni capitalisti piemontesi incrementò la base finanziaria del Cantiere nonché i mezzi di produzione : fu infatti ricavata nelle acque antistanti gli scali una darsena cui vennero affiancate officine attrezzate all’allestimento di navi varate. Le maestranze nel 1900 erano circa 1500, prevalentemente provenienti dall’entroterra (alta e bassa Lunigiana). Alcuni dei più grandi e famosi velieri italiani in acciaio furono varati in quel periodo fra cui nel 1903 l’”ITALIA” il più grande veliero mai costruito nei cantieri nazionali.
Nel 1904 il cantiere era dotato di sei scali adibiti alla costruzione di navi in ferro aventi lunghezza che variava da un minimo di 105m fino ad un massimo di 170m. Sono gli anni in cui il Cantiere, diretto dall’ing. Manaira, venne principalmente utilizzato per la costruzione di piroscafi adibiti all’importazione di materiale tessile dall’America Settentrionale per i cotonifici del Piemonte.
Tra il 1899 e il 1913 il Cantiere, la cui denominazione societaria nel frattempo divenne “SOCIETA’ ANONIMA CANTIERE NAVALE DEL MUGGIANO” e successivamente (1906) “CANTIERI NAVALI RIUNITI”, costruì 33 navi, tra cui piroscafi da carico, passeggeri e misti. Notevole la costruzione dei transatlantici “DUCA DEGLI ABRUZZI” e “DUCA DI GENOVA”, varati nel 1907 e 1908, per conto della Navigazione Generale Italiana, destinati alla linea Genova – New York. Dall’altro lato vediamo sorgere nel 1905, accanto al cantiere già esistente, un altro cantiere, denominato “FIAT MUGGIANO”, sorto con lo scopo di costruire motoscafi in collaborazione con le Officine Meccaniche FIAT di Torino; attività che non diede però i risultati economici
previsti. Nel 1907 il cantiere fu ricapitalizzato dalla società S.Giorgio di Sestri Ponente, assumendo la denominazione “FIAT-S.GIORGIO”. Fu deciso di lanciare lo Stabilimento nel programma di costruzione di sommergibili, mezzo strategicamente emergente presso tutte le marine europee e d’oltre oceano. Furono assunti tecnici e maestranze qualificate nel settore, in particolare l’ing. Cesare Laurenti, già capitano del Genio Navale: i primi sommergibili furono costruiti in quegli anni.
Nel 1907 scese in mare il primo sommergibile costruito a Muggiano, il “FOCA”, di 185 t . Fecero seguito nel 1908 due battelli per due Marine estere, lo svedese “HWALEN”, pure di 185 t e il danese “DYKKEREN”, di 105 t, tutti progettati dal Laurenti, nominato in quell’anno Direttore dello Stabilimento.
Questi sommergibili, tutti con motori a benzina per la navigazione in superficie, diedero risultati molto brillanti: particolarmente ammirato per le sue qualità marine, delle quali diede prova in modo perfetto, fu il sommergibile “HWALEN” che, solo con i propri mezzi ed affrontando mare burrascoso nel Golfo di Biscaglia, effettuò la traversata di 4000 miglia dalla Spezia a Stoccolma.
Nel 1913 l’effetto dell’impulso che prese la costruzione di sommergibili richiese un aumento di mezzi e di personale. La “FIAT S.GIORGIO” acquistò la società “CANTIERI NAVALI RIUNITI” incorporandone le capacità produttive .
In quell’epoca è da ricordare, per la genialità del progetto e le difficoltà tecniche superate, la costruzione della “CEARA’”; commissionata dal Brasile e ideata dall’ing. Laurenti, doveva costituire la nave appoggio per le squadriglie di sommergibili che operavano in alto mare, dar loro assistenza tecnica e logistica nonché consentire di eseguire su di essi qualunque intervento di carenaggio. La nave “CEARA’” era in grado di compiere il salvataggio di un sommergibile affondato alla profondità di quaranta metri, nonché di ricoverare nella sua parte centrale un sommergibile di 400t.
La prima guerra mondiale Dal 1915 al 1918 il Cantiere svolse non solo una febbrile attività per far fronte ai bisogni della Marina Italiana, costruendo e consegnando quindici sommergibili del tipo “MEDUSA” modificato, ma riuscì a portare a termine le commesse di sette sommergibili per marine estere
Inoltre il Cantiere ebbe occasione di occuparsi di costruzioni che, se pur estranee al campo navale, presentavano affinità nella lavorazione: fu così che vennero costruiti affusti per cannoni, carri ferroviari attrezzati ad uso officine, alto forni, gru, ecc. Durante il 1917 fu constatato come fossero diventate oltremodo necessarie anche strutture industriali in grado di assumere e portare a termine riparazioni di qualunque entità, sia agli scafi che agli apparati motore delle navi, logorate dall’intenso servizio o danneggiate da eventi di guerra. Fu così che il Cantiere si organizzò in modo da eseguire attività di riparazione navale, quali la ristrutturazione del piroscafo “MILAZZO” incendiatosi durante la traversata dall’America e l’intervento sul piroscafo “MANIN”, cui si dovettero riparare la fiancata destra squarciata dai siluri e sostituire la macchina motrice danneggiata dall’esplosione.
Il primo periodo post bellico La Ragione Sociale mutò nel 1918, con l’ingresso della famiglia Perrone, proprietaria dell’Ansaldo, in “ANSALDO S.GIORGIO”; per poi diventare, nel 1927 “ODERO-TERNI” e, nel 1930, “ODERO-TERNI-ORLANDO”.
Furono anni di grande attività produttiva svolta in un contesto di infrastrutture decisamente potenziate : negli anni trenta il Cantiere contava una forza lavoro di 4000 operai, 400 impiegati, ed era attrezzato per costruire navi fino ad una lunghezza di 220 m . Era sviluppato su una superficie complessiva di 259000 m2 , di cui 60000 coperti; possedeva otto scali, di cui uno coperto per navi fino a 125 m e dislocamento di 13000 t ; all’avanguardia gli impianti di zincatura, nichelatura, nonché varie stazioni di saldatura elettrica ed ossiacetilenica. Nel primo periodo post bellico le costruzioni militari avevano ricevuto nuovo impulso, in particolare con la realizzazione di oltre 50
sommergibili e, per quanto riguarda le navi di superficie, con la costruzione degli incrociatori “ZARA”, di 10600 t , “DIAZ” e “DUCA DEGLI ABRUZZI”, entrambi di 7000 t . In quel periodo vennero sviluppate notevolmente anche le costruzioni mercantili, con navi di varia tipologia per trasporto di passeggeri e di merci. Fra tutte va segnalata la motonave Arborea per il trasporto di passeggeri e merci famosa per gli interni progettati dall’architetto Melchiorre Bega di Bologna.
Il secondo conflitto mondiale Con lo scoppio delle ostilità i cantieri “ODERO-TERNI-ORLANDO” iniziarono a lavorare a ritmo serrato, specializzandosi sempre di più nella costruzione e nell’allestimento di sommergibili ma proseguendo comunque nelle costruzioni di navi mercantili e di mezzi speciali per la Regia Marina (10 motonavi e 6 motozattere).
In questo periodo, in cui il Cantiere toccò la massima punta occupazionale con 4122 operai, furono impostati 21 battelli, ma solo 9 consegnati alla Regia Marina a causa degli eventi bellici. Fra il 10 giugno 1940 e il 1943 furono infatti consegnati il “MALASPINA” e il “BARACCA” (1940), il “PLATINO” e l’“ACCIAIO” (1941), il “COBALTO” e il “NICHELIO” (1942), lo “SPARIDE”, il “MURENA” e il “GRONGO” (1943). Diversa la sorte degli altri sommergibili: “ALLUMINIO”, “MANGANESE”, “ZOLFO”, “SILICIO”, “FOSFORO”, “ANTIMONIO”, e le costruzioni 296, 297, 298 impostati a partire dal 9 dicembre del 1942. Questi battelli, in varie fasi di lavorazione, verranno in gran parte catturati dopo l’8 settembre 1943 e smantellati per recuperarne i materiali. I sommergibili da trasporto “R10”, “R11” e “R12”, impostati nel 1943 e varati nel 1944, avranno vita breve: “R10” e “R12” verranno affondati per creare ostruzioni presso l’Arsenale della Spezia e l’”R11”, trainato a Genova, sarà affondato durante un bombardamento. Nell’aprile del 1945 il Cantiere di Muggiano appariva in condizioni desolanti; la guerra aveva portato alla distruzione di tre capannoni, di un lungo tratto di banchina, allo sconvolgimento di una vasta zona di piazzale e allo svuotamento dei magazzini dai quali, fra le altre cose, erano state asportate circa 15000 t di materiali siderurgici















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Il mistero della "Beethoven" nave scuola triestina


La nave scuola "Beethoven" all'ormeggio a New Castle nel 1910
l mistero della “Beethoven” nave scuola triestina che sparì in mare nel 1914
Partita il 29 febbraio da Newcastle verso Valparaiso non arrivò mai a destinazione: “inghiottita” dall’oceano con tutti 33i suoi cadetti
TRIESTE Il 29 febbraio del 1914, la nave scuola "Beethoven" di Trieste, un elegante veliero per l'addestramento pratico degli studenti delle varie scuole e istituti nautici dell'Impero austro-ungarico, salpò dal porto di Newcastle, in Australia, dopo aver imbarcato un carico di carbone, alla volta di Valparaiso, in Cile. A bordo del bastimento, al suo viaggio inaugurale e al comando del capitano Vittorio Orschulek, c'erano diciannove giovanissimi cadetti originari di Trieste, Zara, Monfalcone, Gorizia, Vienna e altre località e scuole nautiche delle antiche provincie, più diciassette uomini d'equipaggio fra timonieri, carpentieri e cuochi. Primo ufficiale era il ventiquattrenne Giovanni Cosulich, figlio del grande armatore lussignano Augusto Cosulich.
La "Beethoven" avrebbe dovuto raggiungere Valparaiso, passando il Capo di Buona Speranza, dopo sessanta giorni di navigazione attraverso una delle plaghe oceaniche più tempestose del mondo, nota ai naviganti come i "Quaranta ruggenti". Ma il bel veliero a quattro alberi non arrivò mai a destinazione: non se ne seppe più nulla, non fu mai trovato nemmeno lo straccio di un relitto né una sola scialuppa, non fu intercettato un segnale, nessuno seppe mai dire che fine avesse fatto. L'immenso oceano inghiottì i giovani cadetti e tutto l'equipaggio, e ancora oggi non si sa a quale sorte sia andata incontro la "Beethoven".La scomparsa della nave scuola triestina segnò di fatto la fine dei grandi traffici marittimi a vela, il definitivo affermarsi della navigazione a motore, la vittoria della rombante modernità sul dominio dei venti. Mentre il mondo sprofondava nel gorgo della Grande guerra, la scomparsa tra i flutti di un pugno di cadetti chiamati a vivere il mare secondo regole e dettami di un tempo finito appare oggi come uno dei tanti segni di quel drammatico trapasso epocale di cui l'anno 1914 rappresenta lo spartiacque.
Il naufragio della "Beethoven", in realtà, fu una tragedia annunciata. Il suo destino sembrò segnato sin dall'inverno del 1900, quando il Consiglio di Stato, dando voce a un'istanza degli armatori triestini, avanzò all'imperial regio governo la richiesta di allestire una nave a vela per la formazione tecnico-pratica degli ufficiali della marina mercantile. I progressi tecnici stavano rivoluzionando molto in fretta la marineria, e se pure era stato superato l'obbligo di un periodo di navigazione su navi a vela per gli aspiranti ufficiali, diventava difficile per i futuri capitani trovare in imbarco adatto. I ragazzi, si diceva, non avevano sufficiente preparazione pratica, addestrati più a navigare tra scartoffie e regolamenti che in mare.
La nave scuola "Beethoven" in un dipinto di W. Steffens (1912

La modernità stava uccidendo la tradizione, i vecchi lupi di mare «con le gambe arcuate e le rughe sulla fronte» erano ormai una specie in via di estinzione. Di fronte a tutto ciò le principali compagnie armatrici, soprattutto all'estero e con l'appoggio dei rispettivi governi, si orientarono sempre di più verso l'impiego delle navi scuola. Nel maggio del 1913, su iniziativa dei Fratelli Cosulich, nacque a Trieste la Società Anonima Nave-Scuola, in concorso con l'Austro Americana, il Lloyd Austriaco, la Tripcovich, la Libera Triestina, e l'appoggio finanziario del governo tramite i dicasteri dell'istruzione e del commercio. La città di Trieste avrebbe avuto la sua nave scuola a vela. La scelta cadde su un veliero in disarmo a Genova battente bandiera norvegese: il "Beethoven". Costruito assieme al gemello "Mozart" a Greenock, in Scozia, era uno scooner con quattro alberi e scafo in acciaio, lungo 79,25 metri, largo 12,35, munito di chiglia a trave, prua a clipper, poppa rotonda e un solo ponte con tavolato in legno. Durante i lavori di allestimento vennero apportate alcune modifiche per rendere la nave più veloce e adatta al trasporto delle merci, modifiche che fecero subito storcere il naso agli stessi esperti ministeriali: il bastimento rischiava così un assetto meno stabile in caso di tempesta

n realtà le polemiche erano cominciate a piovere sulla "Beethoven" ancora prima che prendesse il mare. Circoli nautici e stampa non avevano risparmiato critiche: primo, si diceva, le navi scuola «non possono essere dei semplici bastimenti mercantili, perché hanno una missione del tutto opposta», visto che un veliero sottoposto ai capricci dei venti non può rispettare le date di carico e di consegna come un piroscafo. Poi, la nave a vela è «ormai superata da anni dalla macchina a vapore», per cui inutile «insistere su d'una pratica velica soprattutto da compiersi in viaggi transoceanici»: così si distruggeva «d'un tratto tutta quella evoluzione che la scienza apportò alla carriera nautica». Folle era inoltre non dotare la nave di un motore ausiliario e, ancora peggio, di un impianto di radio-telegrafia. Ancora, i cadetti avrebbero fatto perlopiù i facchini, sarebbero stati pochi rispetto alle esigenze generali, e in definitiva spedire sugli oceani tempestosi ragazzi inesperti a bordo di un veliero significava mandarli dritti fra le braccia di Poseidone. Dietro le dispute si nascondeva però una questione squisitamente politica: la "Beethoven" rappresentava la difesa a oltranza degli interessi del governo e degli armatori privati nel sostanziale disinteresse del bene comune, e cioè la formazione di una nuova e più efficiente marineria.
Le polemiche non servirono: la "Beethoven" salpò a vele spiegate da Genova per il suo viaggio inaugurale il 24 giugno 1913, senza motore ausiliario e senza telegrafo di bordo, alla volta di Cadice, dove avrebbe imbarcato i cadetti arrivati nel frattempo con il piroscafo "Oceania". Per dimostrare la bontà delle sue scelte e tenere alta la bandiera di famiglia, Augusto Cosulich volle a tutti i costi sul veliero come primo ufficiale uno dei suoi figli, il giovanissimo capitano Giovanni Cosulich. Non l'avrebbe mai più rivisto. Gli ultimi cadetti furono imbarcati a Montevideo, in Uruguay, il 27 ottobre, con una grande festa cui parteciparono le autorità locali e i rappresentanti del governo austro-ungarico. Il 23 novembre 1913 la "Beethoven" salpò da Montevideo e dopo 62 giorni di navigazione, doppiando Capo Horn, raggiunse Newcastle, in Australia, dove caricò 3104 tonnellate di carbone. La sosta si prolungò più del previsto per uno sciopero dei minatori, e alcuni membri dell'equipaggio, innamorati di ragazze del luogo o in cerca di altre fortune, ne approfittarono per disertare, secondo una pratica allora piuttosto diffusa.
La "Beethoven" ripartì da Newcastle il 29 marzo 1914 per attraversare il Pacifico e affrontare i "Quaranta ruggenti". Avrebbe dovuto portare il carbone a Valparaiso dopo un paio di mesi di navigazione senza scalo, ma non arrivò mai. Il veliero scomparve nel nulla, senza lasciare la minima traccia, in un punto imprecisato lungo la sua rotta, probabilmente divorato da un uragano. A tre mesi dalla partenza da Newcastle le famiglie dei cadetti cominciarono a mostrare segni di inquietudine. Il 23 luglio "Il Piccolo" scrisse che non c'era da preoccuparsi, il veliero era senz'altro finito in bonaccia nel Pacifico. Il 15 dicembre 1914, mentre il mondo e l'Impero precipitavano nel baratro della Grande guerra, gli armatori triestini si arresero dando l'annuncio ufficiale; «dopo 250 giorni si devono considerare perduti il bastimento e tutto l'equipaggio».
Negli anni fiorirono leggende. Si disse che due naufraghi avessero raggiunto l'isola polinesiana di Pitcaim facendo fortuna, e nel 1991 qualcuno giurò che in un villaggio polinesiano si parlava una lingua molto simile al dialetto triestino. La verità è che le anime di quei ragazzi, sacrificati come tanti altri innocenti a un'epoca che ha segnato l'intera umanità, vagano ancora su fondo del vasto mare sperando solo che qualcuno, ogni tanto, si ricordi di loro.
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2016/08/25/news/il-mistero-della-beethoven-nave-scuola-triestina-che-spari-in-mare-nel-1914-1.14011182?refresh_ce