mercoledì 24 dicembre 2014

RMS Laconia 1921; tragedia dell'Affondamento

 
L'RMS Laconia fu un transatlantico inglese varato nel 1921 ed acquistato dalla Canard Line. Fu la seconda nave della Canard Line con questo nome: la precedente fu un altro transatlantico varato nel 1911 ed affondato durante la prima guerra mondiale, nel 1917. Analogamente al suo predecessore, il Laconia fu affondato nella notte del 12 settembre 1942 da un siluro lanciato dall'U-Boot U-156, che diede poi luogo al salvataggio dei passeggeri e dell'equipaggio con un'eroica azione condotta dal Capitano di vascello Warner Hartenstein. Per dare supporto nel salvataggio venne fatto intervenire anche un altro U-Boot. Questo episodio storico è noto come l'Affondamento del Laconia.
Caratteristiche tecniche Il Laconia fu costruito dai cantieri Swan, Hunter & Wigham Richardson a Tyne and Wear. Varato il 9 aprile 1921, il transatlantico venne completato nel gennaio 1922. L'apparato propulsivo consisteva in sei turbine a vapore con doppio riduttore costruite dalla Wallsend Slipway Co Ltd di Newcastle upon Tyne, che muovevano due eliche. Oltre ai locali per i passeggeri, la nave era dotata di sei celle frigorifere per una capienza totale di 15.307
Primi anni di servizio Immatricolata nella Marina Mercantile inglese con il numero 145925 ed il Laconia fece servizio anche per la Royal Mail, come testimonia la corona dorata presente nel Crest della nave. Fu stabilito come porto di residenza Liverpool.
codice in lettere KLWT, il
Il Laconia salpò per la crociera inaugurale il 22 maggio 1922 sulla rotta Southampton-New York. Nel gennaio 1923 ebbe inizio la sua prima crociera internazionale che durò 130 giorni con 22 porti di attracco. Nel 1934 il suo codice in lettere venne cambiato in GJCD. Il 24 settembre dello stesso anno, a causa della fitta nebbia, la nave ebbe una collisione con la nave cargo americana Pan Royal al largo delle coste degli Stati Uniti, mentre era in navigazione da Boston per New York. Entrambe la navi furono gravemente danneggiate ma riuscirono entrambe a salvarsi. Il Laconia proseguì per New York dove venne riparata. In seguito riprese la navigazione nel 1935
Trasformazione in cargo incrociatore Nel 1939 la nave venne requisita dalla Royal Navy e obici da 762 mm. Dopo le prove in mare eseguite nelle acque dell'Isola di Wight, il Laconia imbarcò un carico di lingotti d'oro e salpò, il 23 gennaio dello stesso anno, con destinazione Portland, Maine e Halifax, in Nuova Scozia. I mesi seguenti la nave fu impegnata in servizi di scorta ai convogli diretti alle Bermuda. Il 9 giugno la nave fu vittima di un incagliamento nel bacino del Bedford, ad Halifax, che causò gravi danni. Mandata in riparazione, tornò in navigazione a fine luglio. Nell'ottobre 1940 la nave fu sottoposta ad altri lavori con lo smantellamento delle zone destinate ai passeggeri; alcuni locali, svuotati dal mobilio, vennero riempiti di fusti di olio per aiutare la spinta di galleggiamento in caso di siluramento. Nel giugno 1941 il Laconia venne ricoverato a Saint John nel New Brunswick, in Canada, per lavori di ripristino. Tornato a Liverpool, venne da quel momento utilizzato come nave trasporto truppe, sino al suo affondamento. Il 12 settembre 1941 la nave attraccò a Bidston Dock, nel Birkenhead, e fu presa in consegna dalla società Cammell Laird and Company per essere convertita in mercantile armato. Nei primi giorni del 1942 fu completata a conversione e per i successivi sei mesi la nave fece numerose traversate per il Medio Oriente.
trasformata in cargo incrociatore. Nel gennaio 1940 furono installati otto cannoni da 152,4 mm e due
Naufragio Nel luglio 1942 la nave, salpando da Port Tewfik, adiacente al porto di Suez, iniziò una crociera per il rimpatrio degli ufficiali in Inghilterra, insieme alle loro famiglie, e dei soldati. Sul Laconia vennero imbarcati 463 ufficiali e uomini dell'equipaggio, 268 soldati britannici in qualità di passeggeri, 103 soldati polacchi destinati al servizio di guardia e 80 tra donne e bambini. Mediante zattere erano stati fatti convergere a Port Tewfik 1.800 prigionieri italiani, reduci dalla battaglia di El-Alamein, che furono imbarcati e stipati nelle stive, di dimensioni insufficienti in quanto potevano contenere solamente la metà dei prigionieri. La nave fece tappa nei porti di Aden, Mombasa, Durban e Città del Capo, da dove, invece che proseguire per l'Inghilterra, prese la rotta per gli Stati Uniti, allontanandosi dalle coste africane ed addentrandosi nell'Oceano Atlantico, dove erano presenti numerosi sommergibili nemici in servizio di pattugliamento. Nella notte del 12 settembre 1942 il Laconia navigava a luci spente nell'oscurità seguendo una rotta a zig-zag per evitare attacchi di sommergibili. Alle ore 20:10, 130 miglia a nord-nord est dall'Isola di Ascensione, la nave venne colpita a dritta da un siluro lanciato dall'U-Boot U-156. L'esplosione interessò la stiva e molti dei prigionieri italiani a bordo Lancastria, che era stato affondato in seguito ad un siluramento, Laconia affondò di poppa innalzando la sua prua quasi in verticale, con ancora molti italiani a bordo e il comandante Sharp. I naufraghi in acqua e sulle scialuppe si trovarono a dover fronteggiare gli squali, in mare aperto in pieno Atlantico, con poche probabilità di sopravvivenza.
riuscì in un primo momento a tenere sotto controllo la situazione. Pochi istanti dopo però, la nave


venne colpita da un secondo siluro. Sharp ordinò quindi che donne, bambini e feriti gravi fossero imbarcati sulle scialuppe di salvataggio; in quel momento il ponte di poppa iniziava ad essere invaso dall'acqua. Secondo alcune testimonianze di prigionieri Lancastria, che era stato affondato in seguito ad un siluramento, riuscì in un primo momento a tenere sotto controllo la situazione. Pochi istanti dopo però, la nave venne colpita da un secondo siluro. Sharp ordinò quindi che donne, bambini e feriti gravi fossero imbarcati sulle scialuppe di salvataggio; in quel momento il ponte di poppa iniziava ad essere invaso dall'acqua. Secondo alcune testimonianze di prigionieri italiani sopravvissuti, le guardie polacche lasciarono chiuse le stive dei prigionieri italiani impedendogli di raggiungere le scialuppe di salvataggio; tra l'altro alcune delle trentadue scialuppe di salvataggio erano state distrutte nelle esplosioni. In seguito alcuni gruppi di italiani riuscirono a liberarsi ma non ebbero possibilità di imbarcarsi sulle scialuppe. Alle 21:11 il Laconia affondò di poppa innalzando la sua prua quasi in verticale, con ancora molti italiani a bordo e il comandante Sharp. I naufraghi in acqua e sulle scialuppe si trovarono a dover fronteggiare gli squali, in mare aperto in pieno Atlantico, con poche probabilità di sopravvivenza
Crest del RMS Laconia
italiani sopravvissuti, le guardie polacche lasciarono chiuse le stive
dei prigionieri italiani impedendogli di raggiungere le scialuppe di salvataggio; tra l'altro alcune delle trentadue scialuppe di salvataggio erano state distrutte nelle esplosioni. In seguito alcuni gruppi di italiani riuscirono a liberarsi ma non ebbero possibilità di imbarcarsi sulle scialuppe. Alle 21:11 il morirono all'istante; la nave si inclinò subito a dritta appoppandosi. Il comandante Sharp, che aveva comandato anche un altro transatlantico della Cunard Line, il Lancastria, che era stato affondato in seguito ad un siluramento, riuscì in un primo momento a tenere sotto controllo la situazione. Pochi istanti dopo però, la nave venne colpita da un secondo siluro. Sharp ordinò quindi che donne, bambini e feriti gravi fossero imbarcati sulle scialuppe di salvataggio; in quel momento il ponte di poppa iniziava ad essere invaso dall'acqua. Secondo alcune testimonianze di prigionieri italiani sopravvissuti, le guardie polacche lasciarono chiuse le stive dei prigionieri italiani impedendogli di raggiungere le scialuppe di salvataggio; tra l'altro alcune delle trentadue scialuppe di salvataggio erano state distrutte nelle esplosioni. In seguito alcuni gruppi di italiani riuscirono a liberarsi ma non ebbero possibilità di imbarcarsi sulle scialuppe. Alle 21:11 il Laconia affondò di poppa innalzando la sua prua quasi in verticale, con ancora molti italiani a bordo e il comandante Sharp. I naufraghi in acqua e sulle scialuppe si trovarono a dover fronteggiare gli squali, in mare aperto in pieno Atlantico, con poche probabilità di sopravvivenza.
http://it.wikipedia.org/wiki/RMS_Laconia_(1921)

sabato 6 dicembre 2014

IL NAUFRAGIO DEL "SIRIO": 4 AGOSTO 1906

Il piroscafo italiano Sirio scese in mare dal Cantiere Napier di Glasgow il 24 marzo 1883. Lo scafo era in ferro, stazzava 3.635 tonn. ed aveva una macchina alternativa da 3.900 cav. capace d'imprimergli una velocità di 15 nodi. La sua linea snella e affilata rappresentava uno stile innovativo nell'architettura navale del tempo, quando sugli oceani andava in scena lo scontro duro tra due epopee: quella della tradizione velica giunta al suo apice, e quella nascente del vapore.

La posizione del naufragio del Sirio.
La posizione del naufragio del Sirio.
I due fumaioli sottili e ravvicinati esprimevano la nuova potenza meccanica, i tre alberi a goletta ricordavano le attrezzature dei velieri e in qualche modo rassicuravano i passeggeri dalle eventuali avarie della macchina alternativa. Il Sirio disponeva a poppa di 48 posti di prima classe, un ampio salone da pranzo, un auditorio e sala per signore con fumatoio. La seconda classe era situata a proravia del ponte di comando e disponeva di 80 posti. Gli altri, la suburra della terza classe, i poveri che avevano venduto tutto per pagarsi il viaggio, erano invece sistemati in grandi cameroni ricavati nei corridoi delle stive per un totale di 1290 posti.
Il Sirio in posizione di navigazione.
Il Sirio in posizione di navigazione.
Il Sirio lasciò Glasgow il 19 giugno 1883, comandato dal cap. Sebastiano Rosasco, arrivò a Genova il 27 giugno e ripartì il 15 luglio 1883 per il suo viaggio inaugurale al Plata. Quel maiden voyage fu il primo di una lunghissima serie di viaggi legati per lo più alla storia della nostra emigrazione, che terminarono, purtroppo, su quella famigerata scogliera di Capo Palos.
Quanto segue, è la deposizione rilasciata all'Autorità competente dall'unico testimone della sciagura, il Cap. Vranich, comandante del piroscafo austro-ungarico Buda che si trovava a poca distanza dal Sirio:
“Alle 16.00 del 4 agosto 1906, al traverso delle Grandi Hormigas, (presso Capo Palos-Spagna Mediterranea) avvistai il Sirio e giudicai subito che passasse troppo vicino alla costa. Poco dopo, incrociatesi le rotte, vidi sollevarsi la prora del Sirio fortemente sull'acqua, sbandarsi a sinistra ed abbassarsi di poppa…Lo giudicai incagliato e feci rotta verso di lui ordinando le lance in mare. Il Sirio camminava a tutta forza e l'urto fu così violento che le lance di sottovento, smosse, furono poste fuori servizio. La parte poppiera era tutta allagata e sommersa. Di conseguenza molti passeggeri non ebbero il tempo di risalire in coperta. Il locale macchine fu allagato e parte del personale vi perì. Calammo due lance che effettuarono molti salvataggi….”

Il Sirio incagliato e semiaffondato.
Il Sirio incagliato e semiaffondato.
Il naufragio ebbe dell'incredibile e le critiche furono a dir poco aspre, perché la giornata era bella, il mare in bonaccia e buona la visibilità. La nave, proveniente da Genova e diretta verso lo Stretto di Gibilterra, correva a tutta velocità quando andò a schiantarsi su una delle secche più note del Mediterraneo.
Il Sirio era rimasto come un cavallo mentre salta l'ostacolo, con la prua che guarda il cielo e la poppa poggiata sugli scogli a tre metri di profondità. Aveva a bordo 120 passeggeri di prima e seconda classe e oltre 1200 emigranti che durante il giorno prendevano il sole a proravia. Gran parte di loro, a causa dell'urto improvviso, fu scagliata in mare e morì annegata.
All'epoca si disse: “Avrebbero potuto salvarsi quasi tutti, perchè il Sirio non andò subito a fondo, ma rimase in agonia ben sedici giorni, prima di spaccarsi in due ed affondare. Purtroppo le operazioni di salvataggio furono così caotiche e disperate che ci furono 293 morti, (riconosciuti ufficialmente secondo i Registri del Lloyd's di Londra) ma secondo la stampa, e non fu mai smentita, le vittime superarono le 500 unità, gran parte delle quali fu pietosamente composta lungo il molo del porto di Cartagena e poi tumulata nei cimiteri della zona. Le lapidi sono ancora leggibili e portano nomi e cognomi italiani “.
I naufraghi superstiti abbandonano il Sirio.
I naufraghi superstiti abbandonano il Sirio.
Nel piccolo museo di Capo Palos dedicato al Sirio, sono tuttora conservati i volantini che pubblicizzavano anche le soste “fuori programma” per caricare i clandestini. La questione non fu mai chiarita, ma si vociferò che senza quelle tappe sottocosta, la nave sarebbe passata al largo della micidiale scogliera denominata Bajo de Fuera.
Fu chiaramente un errore di rotta e siccome furono tante le vittime, tra cui il Vescovo di San Paolo del Brasile, la marineria italiana si fece in quella disavventura una cattiva propaganda che fu subito sfruttata dall'accesa concorrenza straniera.
Si aprirono le inchieste di rito, ma emerse, contrariamente alle tante accuse rivolte contro lo stato maggiore della nave, che il comandante del Sirio Giuseppe Piccone, insieme ai suoi ufficiali, diresse con calma le operazioni d'abbandono nave e fu l'ultimo a porsi in salvo. Fu stabilito, tuttavia, che l'erronea valutazione della posizione della nave e della distanza dalle secche fu causa del grave incidente e delle tragiche conseguenze che ne derivarono.
Il capitano Giuseppe Piccone che aveva 62 anni ed era al comando del Sirio da 27 anni, fu rinviato a giudizio, ma chiuso nel suo dolore, morì a Genova due mesi dopo l'evento descritto. 
Un tragico precedente
La nave passeggeri Nord America della Soc. genovese “Veloce” era naufragata su quelle secche ventitrè anni prima. Purtroppo quella pagina nera , scritta col sangue di tanta gente, fu troppo presto dimenticata!
A cavallo del ‘900, con la corsa alla “Merica”, ebbe inizio il secondo esodo di massa e con esso nacquero le prime vere canzoni della nostalgia del paese natio: Ma se ghe pensu, Santa Lucia luntana, Partono ‘e bastimenti, Quando saremo in Merica, Mamma mia dammi cento lire.
La famiglia Serafini, di Arzignano, provincia di Vicenza, nella foto scattata pochi giorni prima di imbarcarsi sul Sirio per il Brasile: dietro, da sinistra Isidoro (12 anni), Umberto (14), il capofamiglia Felice (43), la moglie Amalia (41) che era in attesa del nono figlio, Silvio (11). In prima fila Ottavia (7), Silvia (9), Giuseppe (2), Lucia (3) e Ottavio (6). Nel disastro morirono tutti meno Felice, Isidoro e Ottavio.
La famiglia Serafini, di Arzignano, provincia di Vicenza, nella foto scattata pochi giorni prima di imbarcarsi sul Sirio per il Brasile: dietro, da sinistra Isidoro (12 anni), Umberto (14), il capofamiglia Felice (43), la moglie Amalia (41) che era in attesa del nono figlio, Silvio (11). In prima fila Ottavia (7), Silvia (9), Giuseppe (2), Lucia (3) e Ottavio (6). Nel disastro morirono tutti meno Felice, Isidoro e Ottavio.
Edmondo De amicis, a seguito dell'esperienza “sofferta” durante una traversata a bordo del Sirio, affrontò il tema dell'emigrazione con la sua opera letteraria Sull'oceano.
Il tragico naufragio della nave Sirio colpì molto la fantasia popolare che ispirò una stupenda e drammatica canzone, tratta dal repertorio dei cantastorie.
Nel 2001 il cantautore Francesco De Gregori inserì nel suo album “ Il fischio del vapore ” questa ballata che era conosciuta soltanto nel nord Italia, tra quelle vallate da cui partirono gli sfortunati emigranti del Sirio in cerca di fortuna.
Alla domanda di un giornalista: “ Concorda che ci sia una similitudine drammatica con la situazione attuale dove le bagnarole affondano”?
Il cantautore rispose: “ Questo è proprio il motivo per cui noi la cantiamo, perché la nave Sirio, questa Titanic della povera gente, era una bagnarola di 23 anni, piena di disperati alla ricerca di una nuova vita .
I corpi di alcuni emigranti italiani sulla spiaggia di Cartagena. Secondo il Lloyd i morti furono 292 ma il bilancio fu contestato dalle controparti che, accusando gli armatori d'aver caricato più persone di quante dichiarate, stimarono le vittime tra le 440 e le 500.
I corpi di alcuni emigranti italiani sulla spiaggia di Cartagena. Secondo il Lloyd i morti furono 292 ma il bilancio fu contestato dalle controparti che, accusando gli armatori d'aver caricato più persone di quante dichiarate, stimarono le vittime tra le 440 e le 500.
Per la verità, il Sirio non era una pericolosa carretta dei mari. La sua fama di vecchio transatlantico, adattato al trasporto degli emigranti e destinato ad operare su una rotta piuttosto agevole come quella del Sud America, non ha nulla a che vedere con il tragico incaglio sulle Hormigas.
Il Sirio apparteneva ad una grande Società: la Navigazione Generale Italiana (N.G.I), nata nel 1881 all'atto della fusione delle Società Riunite Florio-Rubattino. La gloriosa N.G.I. risultò composta di 81 vapori e detenne il monopolio (quasi incontrastato) del trasporto passeggeri e merci della nostra Marina sino al 1936 quando nacque, per volontà di Mussolini, il gruppo FINMARE.
Storie che si ripetono oggi in direzione opposta…
A cento anni di distanza, purtroppo, la tragedia del Sirio è terribilmente attuale, se pensiamo al traghetto Al Salam-Boccaccio (ex Tirrenia) che affondò il 3 febbraio scorso nel Mar Rosso, trascinando con sé un migliaio di pellegrini islamici diretti alla Mecca.
A questo punto, possiamo chiudere la rievocazione del Sirio con un'amara riflessione: ogni epoca è una pagina di storia dove l'uomo riesce a risolvere tanti problemi tecnologici, ma spesso ripete gli stessi errori del passato perché, nel frattempo, il concetto di sicurezza è stato violato. Tanti enfatizzano la sicurezza, ma nessuno vuole pagarla; tutti parlano dei nuovi “allarmi” del secolo: terrorismo , inquinamento , ecosistema , che tuttavia, per chi conta, non sono ancora motivi d'insonnia.
IL NAUFRAGIO DEL "SIRIO": 4 AGOSTO 1906 dal sito della Società Capitani e Macchinisti di Camogli
L'iconografia è tratta interamente da Odissee Migranti - Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, il sito di Gian Antonio Stella.

Carlo Gatti
Presidente della Società Capitani e Macchinisti Navali
Camogli

http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=5923